Quanti di voi sono a conoscenza della circostanza che una colorata carovana di viaggiatori lenti percorre ogni anno il Tevere da Città di Castello al centro di Roma in canoa, a piedi, in bicicletta ed a cavallo? In prevalenza sono stranieri, certo, ma questo non rappresenta un alibi, quanto piuttosto un elemento su cui riflettere…
Tutti gli insediamenti preromani il cui convergere diede luogo alla Roma storica vivevano il Tevere dall’alto, mai troppo da vicino, per evidenti ragioni di difesa e perché il carattere indomabile del fiume dava origine a piene improvvise. Mano a mano che si procedette con l’interramento del fiume, le navi non poterono più arrivare fino all’emporio (sotto l’attuale rione di Testaccio) come in epoca classica, ma merci e passeggeri continuarono a giungere a Roma via fiume, con il metodo dell’alaggio, cioè su chiatte o barconi rimorchiati da riva, con la forza motrice di buoi e persino di uomini, in caso di necessità.
Chi dovesse pensare ad un sistema antico, prende un abbaglio: il metodo è rimasto in uso fino a metà dell’Ottocento, soltanto perché i buoi vennero sostituiti da rimorchiatori a vapore, che trascinavano tre o quattro chiatte (come avveniva sulla Senna fino a non molti anni fa).
Si pensi che nel 1704 venne costruito il Porto di Ripetta, sulla riva sinistra all’altezza di Castel Sant’Angelo, dedicato soprattutto al traffico con l’entroterra umbro.
E fu poi soltanto all’inizio dell’Ottocento (1827) che Leone XII fece costruire un altro porto, sulla riva destra, più a valle, poco più giù di porta Santo Spirito, chiamato “porto dei travertini” perché utilizzato per trasportare i marmi destinati alla costruzione della Basilica di San Pietro.
Sul Tevere navigavano imbarcazioni di tutti i tipi, anche a vela: per discendere il fiume da Orte ci volevano tre giorni. Oltre alle chiatte trainate da rimorchiatori, alle barchette dei pescatori, c’erano anche piccole barche per trasbordare le persone da una riva all’altra (non si dimentichi che fino alla caduta dello Stato Pontificio i ponti cittadini sul Tevere erano soltanto quattro: ponte Mollo, il ponte di Castello, ponte Sisto e i due ponti attraverso l’isola Tiberina, ponte Cestio e il ponte dei Quattro Capi).
Fu per via fluviale che arrivarono le 150 colonne monolitiche di marmo bianco del nuovo portico della basilica di San Paolo fuori le mura: partite dalle cave di Baveno e Montorfano, dovettero circumnavigare l’Italia dal lago Maggiore al Ticino, dal Po fino all’Adriatico, per poi risalire il Tevere fino ai piedi della Basilica. Un viaggio di quattro anni.
Da ricordare anche l’ultimo grande trasporto via fiume, su una chiatta di cemento appositamente costruita: i marmi provenienti dalle Alpi Apuane e destinati all’obelisco del Foro Italico scesero lungo il Tevere nel 1929.
Tiberinalia: ripartire (lentamente) dalla bellezza del creato, delle arti e del viaggio
Con il progetto Tiberinalia, Cammini d’Europa propone di assumere le nozze del Tevere con la Madre Terra a simbolo di un ampio programma di attività mirate a recuperare un forte senso di comunità e una visione condivisa di futuro. E tornare a guardare al paesaggio, alla natura, all’ambiente e al patrimonio culturale come risorse straordinarie per realizzare un futuro più equo e maggiormente sostenibile.
Con i suoi 405 chilometri, Il Tevere attraversa i territori dell’Emilia Romagna, della Toscana, dell’Umbria e del Lazio, unendo le aree interne dell’Appennino con il mare Tirreno: un’opportunità incredibile per tessere una trama narrativa coinvolgente per tutti quelli che vivono attorno alle sponde del fiume, ripartendo dall’educazione ambientale nelle scuole, dalla dimensione sociale dolce della vita di provincia, dalle consuetudini dimenticate, dalle passeggiate letterarie, dalle pedalate nella natura, dalle discese in canoa, dall’attività sportiva dei circoli remieri, fino alla realizzazione di un Museo del Tevere e delle memorie delle civiltà che l’hanno vissuto.
Troppa poesia? Troppe parole? Veniamo ai fatti.
Il Tevere è il terzo fiume italiano per lunghezza, dopo il Po e l’Adige. E’ secondo solo al Po per ampiezza del bacino idrografico, con 17.375 km² e con 240 m³/s di portata media annua alla foce. Ed è anche il terzo corso d’acqua nazionale (dopo il Po e il Ticino) per volume di trasporto. Su tutto, per noi è il 1º fiume appenninico per lunghezza e portata: ripartiamo da qui.
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